05 recensione Eliana Maestri

[Raccontarsi 2005 “Da un sentire empatico a un sentire utopico” in Leggendaria n.54, febbraio 2006]

 Da un sentire empatico ad un sentire utopico: Villa  Fiorelli  in Italia e nel mondo.

Anche quest’anno la Società Italiana delle Letterate e l’Associazione Il Giardino dei Ciliegi  Firenze, in intesa con l’Università di Firenze  e la Regione Toscana, in collaborazione con il  comune e la Provincia di Prato e con il Comune di Firenze hanno organizzato il quinto Laboratorio di mediazione interculturale, Raccontar(si), che si è tenuto a Villa Fiorelli (Prato) tra la fine di agosto e gli inizi di settembre.  Al di là delle parole ed espressioni burocratiche: come spiegare,  o meglio ‘’mappare’ (per usare un verbo coniato e da noi utilizzato in varie occasioni) la natura  sui generis di Raccontar(si) sia in termini nazionali che transnazionali? E perchè poi insistere sull’originalità transnazionale del Laboratorio? Senza porre altre domande alle domande (una pratica che amiamo mettere in atto a Villa Fiorelli), è necessaria in prima istanza una mia presentazione in accordo con la domanda (non sempre di facile interpretazione) di  Monica Farnetti:  tra chi sono? La cartografia del mio spazio identitario si disegna come  per molte donne attuamente tra due nazioni: l’Italia, il mio paese  di orgine, e l’Inghilterra, il paese in cui da almeno cinque anni soggiorno.  La confluenza   e  non raramente la divergenza tra queste due culture hanno da un lato arricchito il mio essere cittadina del mondo e dall’altro raffinato le mie capacità critiche e di comparazione. E allora perchè Villa Fiorelli? O per formulare la domanda in sintonia con lo stile di Paola Zaccaria: che cosa insegna la sabbia? Laggiù è come qui? La sabbia nel mio caso diventa metafora di un luogo altro, di un laggiù dal sapore tutto anglosassone che batte il ritmo degli studi di genere e di traduzione, parte fondametale del mio dottorato di ricerca che sto conducendo presso l’Università di Bath. Per poter rispondere in modo accurato sento di dover mettere in gioco in primis la mia soggettività affermando che l’aterità mi identifica, mi costituisce, mi complica, che il mio io è io in quanto contaminato, meticciato, attore non protagonista di continui mutamenti ed evoluzioni fisiche, ideologiche e di pensiero. In questo senso Villa Fiorelli ha contribuito in maniera consistente a capirmi, a nutrirmi e ad interrogare il mio essere  tracciando, al contempo, sottili confini a matita che di/segnano la mia personalità in continua evoluzione. Tuttavia Villa Fiorelli non è solo questo.  Non è  solo un laboratorio in cui si mediano, si incontrano e/o si scontrano persone ed ideologie dalle culture e storie intricatamente differenti eppure uguali. Villa Fiorelli è il luogo e non-luogo per eccellenza in cui il privato diventa pubblico affinchè l’empatia, l’affettività che unisce ed accomuna le/i sue/suoi  partecipant# riesca a dare corpo e voce all’agency femminsta grazie alla quale l’Utopia può diventare un concetto tattile, percepibile e, in ultima istanza, realizzabile. Questo è uno dei tanti motivi che mi spinge ad affermare con sicurezza che la sabbia, il luogo altro, il mondo anglosassone nel mio caso, non è come qui. Il ‘qui ed ora’ di Villa Fiorelli rivendica in questo senso potezialità ed originalità assolute. Sebbene sia vero che la terra anglosassone si rivela attuallemente e continuanente al mondo per la sua contaminazione culturale e di genere, è altrettanto vero che Villa Fiorelli è riuscita a mettere in atto pratiche di scambio interculturale proficue, non fini a se stesse ma finalizzate ad avvicinare nella geografia delle nostre vite, dei nostri spazi aptici, teoria e pratica, corpo ed intelletto, pubblico e privato, politica e letteratura, responsabilità etica ed attivismo, discenti e docenti. Le teorie affrontate, discusse e molto spesso decostruite e ricostruite sono quelle degli studi di genere e queer che continuano ad animare i dibattiti accademici forse più nel mondo anglosassone che in quello italiano (data l’impostazione ancora troppo maschile di quest’ultima istituzione). Tuttavia se questo è il motivo per cui Villa Fiorelli acquista a mio avviso specificità a livello nazionale, assoluta e irripetibile altrove, altre ancora sono a mio avviso le motivazioni che distinguo il nostro Laboratorio a livello transnazionale. È con grande piacere infatti che mi ritrovo ogni anno a fine agosto a lasciare l’Inghilterra per recarmi seppure per il breve periodo di una settimana a Villa Fiorelli, in Italia, nel mio paese. Nonostante la sua ricchezza interculturale ed accademica, la sua varietà di saperi, la sua complessità di interventi critici e teorici (motivo essenziale che mi ha spinta a fare domanda per un dottorato di ricerca proprio in Inghilterra), l’Inghilterra non mi ha ancora offerto la possibilità di frequentare una scuola come quella di Prato. Molti sono i convegni organizzati in Gran Bretagna che danno spazio e voce anche a giovani dottorande come me, molte sono le occasioni di scambio professionale, molti sono gli incontri a livello più o meno formale con altri studiosi e critici internazionali, molte sono le lectures, i seminars, le oportunità di accesso in tempo reale all’evoluzione del pensiero femminista e femminile in sedi accademiche sia all’interno che all’esterno di Londra. Eppure nella mia carriera di giovane ricercatrice non ho mai frequentato un Laboratorio simile a Villa Fiorelli. La sua caratteristica interdisciplinare (non tuttavia esente da interrogativi sulla sua applicabilità) lo rendono ogni anno particolarmente ricco, vario e stimolante di interventi da parte di studiose impegnate in attività, scienze e discipline diverse ed in luoghi del mondo differenti. Sono le finalità tuttavia che concorrono a renderlo unico ed appetibile allo stesso tempo: lo sforzo concreto, colletivo, comune di praticare concetti teorici che definiscono il pensiero di Hannah Arendt, di Judith Butler e di Adrienne Rich, per nominarne alcune.  Nel non-luogo per eccellenza quale Villa Fiorelli in cui confluiscono basi mobili e metaforiche quali la glocalizzazione (globale e locale) e la convocazione (con-voce-azione ed evocazione), le/i partecipant# si interrogano su come meglio praticare l’utopia come gesto etico per aprire la politica all’impossibile. Lo scopo non è facile, ma non è nemmeno paradossalmente impossibile. Richiede tuttavia un grande sforzo emozionale ed intellettuale da parte di tutt#. Mai come a Villa Fiorelli mi è capitato di conoscere donne pronte a raccontare e a mettere in gioco il proprio privato, i propri sentimenti e la propria soggettività intesa spesso non in senso individuale, ma collettivo o, per usare un’espressione di Butler, con/fuso quale precondizione dell’agire politico. Intorno a questi punti di forza, come una spirale, ruota Villa Fiorelli che esercita ogni anno attrazione, forza magnetica e scompenso e che ci fa ritornare con nostalgia e creatività ogni fine agosto a Prato.