04 recensione Eliana Maestri

Raccontar(si) per Eliana Maestri

Raccontar(si) è stata per me un’esperienza straordinaria e unica. Ne sono venuta a conoscenza per caso durante una conferenza in Translation Studies presso Dublin City Univerisity lo scorso marzo. Durante una conversazione al termine del mio intervento, una collega ricercatrice presso l’Università di Bari mi ha consigliato di frequentare “Raccontar(si)”. “Ho potuto constatare che ti interessi di femminismo e di studi di genere – ha iniziato lei – se vai a Villa Fiorelli vedrai quanto imparerai, vedrai quante emozioni e quanto vissuto potrai condividere con donne di varia provenienza sociale e culturale. Farà bene ai tuoi studi e al tuo spirito”. Ciò che mi ha colpito di quel discorso e ciò che ho voluto perseguire sono state le forti emozioni. E le ho avute.

Villa Fiorelli non è stata e non sarà mai un’esperienza comune facilmente ricreabile altrove. Tuttavia proprio la sua ricchezza ed intensità rendono arduo ogni tentativo di sintesi che nella sua concisione potrebbe rischiare di essere imparziale, incompleto, persino limitato. A rigor di logica ritengo quindi opportuno iniziare a raccontare “Raccontar(si) dal titolo e dai suoi sottotitoli, che contengono i caratteri propositivi e dispositivi del laboratorio.

“Raccontar(si)” è infatti il nome dato al quarto laboratorio di mediazione interculturale tenutosi quest’anno presso Villa Fiorelli a Prato, a cura della Società italiana delle letterate e dell’Associazione del giardino dei Ciliegi in intesa con l’università di Firenze, sul tema genere, diversità, culture.

Raccontar(si) è prima di tutto un laboratorio, nel senso etimologico del termine, che racchiude cioè, dal latino medievale, concetti legati alla malleabilità dell’oggetto lavorato (laboratoriu(m) = lavorabile) e, a sua volta, al lavoro (laboraˉre)inteso come coesione dialogica di energie del corpo e della mente.

È una scuola, quindi, in cui maestre (docenti ed organizzatrici) e apprendiste (giovani fiorelle) per una settimana quest’anno hanno lavorato gomito a gomito sul tema della diversità intervallando a momenti formali di lezioni frontali, discussioni di gruppo ed attività aggregative di vario genere. L’impostazione del laboratorio non è stata quindi normativa o prescrittiva, univettoriale o unidirezionale, volta cioè ad impartire verità e concetti preconfezionati. È, invece, stata descrittiva, espositiva, analitica e dettagliata.

Il risultato del laboratorio è stato un divenire, poiché giorno dopo giorno le donne partecipanti hanno aggiunto tasselli semantici nuovi alla complessità prismatica racchiusa nel termine diversità legata a doppio filo ad altre realtà concettualmente polivalenti e polifoniche quali il genere e la cultura.

L’intento è stato, quindi, quello di mediare, nell’accezione sia materiale che filosofica del verbo. Mediare nel senso di trovare un’intesa tra donne di vario background socio-culturale che portano la propria esperienza personale, il proprio impegno politico, i propri interessi letterari e/o il proprio impegno accademico come testimonianza delle molteplicità dell’io. Mediare nel senso di godere della vicinanza di donne provenienti da paesi e culture lontane che quotidianamente negoziano la loro identità socio-politica in Italia. Mediare nel senso di accostare saperi, scienze, generi, linguaggi e spazi figurativi nel tentativo di creare/riscoprire realtà multidimensionali e multiculturali in cui l’alterità non sia più un concetto straniante o alienante. Mediare nel senso di avvicinare varie discipline per sperimentarne la proficua contaminazione e al contempo cercare un linguaggio che elabori imparzialmente la/le diversità nel loro significante e significato. Mediare nel senso di accostare i vari discorsi dell’io, di imparare a capire e rispettare l’altro da sè per comprendere meglio quella dicotomia simbiotica del sè e dell’altro che si alimenta frammentando la complessità della soggettività femminile. Mediare nel senso di decostruire le ideologie che minano l’identità intesa come dinamica affermazione del sè, come confini a matita che si di/segnano alla luce dell’autoriflessione, dell’autorivelazione e della libertà espressiva. E infine mediare nel senso di ‘aprire’ i sogni di donne che desiderano profilare la loro esistenza in dimore di carta, fatte di libri, di poesie e di scritture al femminile.

In quest’atmosfera frizzante e stimolante si sono inseriti gli interventi di Giovanna Covi, di Liana Borghi, di Clotilde Barbarulli, di Elena Bougleux, di Lidia Campagnano, di Monica Farnetti, di Maria Nadotti, di Claire Hemmings, di Mercedes Frias, di Elena Pulcini e di altre letterate toscane. Il laboratorio si è aperto con interventi che hanno sottolineato l’importanza etica e politica dell’empatia come ponte metaforico e psicologico verso l’altra e contemporaneamente come strumento di conoscenza del soggetto femminile. Alcuni hanno allargato questa dimensione, oltremodo detta di intelligenza emotiva, sino a comprendere il non umano. Libri e scritture femminili sul rapporto con il non umano sono stati valorizzati in quanto paradigmantiche di un sentire empatico per eccellenza che si articola nella salvaguardia e nel rispetto dell’altro da sè. Molte sono state le necessità espresse del sentire femminista attuale. E primo fra tutti è stato il desiderio di percepire la diversità come ricchezza (sessuale, antropologica, culturale etc…) e non come legittimazione della diseguaglianza. Si è espressa inoltre la volontà di recuperare realtà quali ad esempio ‘l’amore’, ma liberato dal monopolio teologico e romantico. Anche termini quali ‘desiderio’ e ‘bellezza’ devono essere liberati da incrostazioni ideologiche, da forme di omologazione estrema, che non permettono le differenze nell’uguaglianza, da forme di rappresentazione convenzionale/tradizionale dei generi, a loro volta estroflessioni di schemi mentali rassicuranti di riferimento. Solo ad avvenuta redenzione, possiamo ri/creare ad infinitum ri/produzioni figurative che racchiudano complessità ontologiche di genere meravigliose ed aperte a molteplici interpretazioni e ri/letture. I vari interventi e momenti di discussione sono stati animati quindi anche dalla necessità di svecchiare il linguaggio, di sottrarsi ai vincoli ideologici delle etichette e di rielaborare una lingua che porti i segni della diversità migrante, dell’esilio nazionale e linguistico, della memoria e della soggettività. Uno degli interventi ha portato alla luce scritti (anche inediti) straordinari in italiano di autrici di madrelingua non italiana che propongono forme di contaminazione reciproche, lessicali, sintattiche e semantiche, di lingue, culture, modi di essere ed immaginari diversi. Molte scrittrici, teoriche, pensatrici e femministe sono state citate, tra cui Donna Haraway, Luisa Muraro, Rosi Braidotti, Judith Butler, Edith Stein, Armanda Guiducci …. e molte molte altre. Spazi alla lettura sono stati dedicati in occasione del gioco degli specchi in cui vita e finzione, realtà e immaginazione si sono fuse e confuse tra le partecipanti in un fluire magico di emozioni, di pensieri e di parole.